Tutto quello che Roma (e non solo) vorrebbe dal mercato cinese

by Andrea Lovelock | 17 Luglio 2018 10:52

L’aeroporto di Roma Fiumicino si candida a diventare l’hub europeo di riferimento per il mercato cinese: con 25 collegamenti settimanali e ben sette compagnie aeree impegnate ad allestire una adeguata offerta aerea, lo scalo della Capitale punta davvero in alto. Forte delle sue 49 frequenze, pari ad altrettanti diritti di traffico verso la Cina (Parigi ne vanta circa 100, ndr), e delle sue eccellenze nei servizi, il Leonardo da Vinci ha le carte in regola per raccogliere le enormi opportunità che si prospettano dal gigante asiatico, da cui arriveranno da qui al 2030 tra i 400 e i 700 milioni di nuovi passeggeri, di cui un buon 10% intercettati dalla destinazione Europa. Almeno 40 milioni di viaggiatori in più, di cui 3-4 milioni dovrebbero atterrare sul suolo italiano, contro gli attuali 1,7 milioni.

L’uso del condizionale è d’obbligo perché è proprio l’incertezza delle previsioni a rappresentare l’incognita più insidiosa, al di là del fatto che l’Italia sia pronta o meno ad accogliere questo nuovo, consistente flusso di traffico. Una sfida nella sfida, quella dei numeri, ammessa sia dagli operatori che dalle autorità pubbliche, tutti convocati da Aeroporti di Roma e Unindustria nella bellissima Premium Lounge del nuovo Terminal E per dibattere sul mercato cinese, il più imponente e promettente bacino di traffico turistico dei prossimi 10 anni.

Le tesi illustrate dagli addetti ai lavori hanno riguardato, sia le incognite dell’incoming, che quelle dell’outgoing. Antonello Lanzellotto, direttore generale di Uvet, ha spiegato come l’impegno sul Mice cinese sia crescente, perché è proprio il segmento corporate e incentive a destare le maggiori attenzioni, in quanto target già maturo per essere intercettato dall’Italia che può assicurarsi anche il segmento dei viaggi studio dei giovani cinesi. Tutto grazie a un’offerta aerea da e verso la Cina che non è mai stata così completa e diversificata.

Ma Michele Serra, presidente di Quality Group, ha posto l’accento proprio sul punto debole dell’offerta aerea abbastanza disarticolata e con connessioni interne molto scomode per i passeggeri italiani. Sarebbe proprio questo il tallone d’Achille dell’outgoing italiano sulla Cina che, dopo un periodo di crisi seguito alle Olimpiadi, conosce da due anni un risveglio inaspettato e assai invitante per gli operatori. Il consumer italiano, infatti, comincia a percepire i cambiamenti della Cina e, se prima questo immenso Paese deludeva per i servizi turistici (specialmente le guide, pessime), oggi con la riqualificazione alberghiera, del personale e dell’assistenza in loco, la Cina è tornata a livelli molto promettenti con una crescita di vendite del 40% per tutto il 2018.

E secondo Serra, il meglio deve ancora venire, probabilmente nel 2020, auspicando investimenti operativi mirati di vettori come Air Italy che ha aeromobili e strutture capaci di attivare un buon operativo voli. Ma l’altra condizione essenziale è che le attuali compagnie aeree operanti sulle rotte Italia-Cina mettano a disposizione almeno due dei tre hub essenziali per far ripartire l’outgoing Cina, vale a dire Pechino e Shanghai.

Ad oggi, infatti, nessuno dei vettori, ad eccezione di colossi europei come Lufthansa e Air France, possono vantare in contemporanea questi scali. In altre parole, bisogna assicurare al viaggiatore italiano comode connessioni. Un messaggio rivolto a tutte le compagnie aeree cinesi presenti al forum, da China Southern con il general manager Ke Chen alla “storica” Air China con la direttrice marketing Mita Carmelita Pippa, da Hainan Airlines con il deputy general manager per l’Italia, Lewis Liu, a China Eastern con il general manager Shuxiang Cai.

Ma il focus del forum organizzato da Adr e Unindustria è stato naturalmente l’incoming e la possibilità di intercettare crescenti fette di mercato rispetto ad altre città europee, prolungando il soggiorno dei cinesi in Italia (fermo a 1,7 giorni) almeno di altri 3-4 giorni, se non addirittura come “mono prodotto”. Per tentare di vincere questa sfida occorre, però, predisporre una ospitalità chinese oriented, a partire dagli alberghi con nuovi buffet gastronomici rivolti a questa clientela, servizi personalizzati e dedicati all’ospite cinese e naturalmente una adeguata copertura digitale per raggiungere una più vasta area di potenziali clienti.

Lo stesso Giorgio Palmucci, presidente di Confindustria Alberghi, ha indicato la strada di una specializzazione e formazione del personale e delle guide che devono accogliere e assistere i turisti cinesi. Difficile, comunque, approcciare a questa sfida ipotizzando a breve la possibilità di posizionare l’Italia quale destinazione unica e finale del turismo cinese. Bisogna essere realistici: l’Italia è ancora parte di un tour continentale. L’Europa è ancora percepita come un “unicum”: destinazione che presenta punte d’attrazione come Roma, Parigi, Londra, Berlino.

Da qui l’invito dell’amministratore delegato di Adr, Ugo De Carolis, a fare gioco di squadra tra operatori turistici, amministratori pubblici, Enit e industria aerea (aeroporti ed aerei) per raccogliere le opportunità imminenti, anche attraverso un’adeguata politica dei visti che l’ambasciata italiana in Cina ha assicurato di aver già attivato aprendo ben 15 sportelli in Cina per il rilascio dei documenti in tempi rapidi.

Una strategia Italia, dunque, che sia espressione dell’intera filiera turistica. In buona sostanza, il primo e realistico auspicio è di cominciare intanto a farli soggiornare più tempo possibile nel nostro Paese, poi possiamo aggredire il mercato con un’offerta più articolata e mirante a proporre “soltanto” l’Italia, magari puntando sulle eccellenze dell’arte, del cibo e della moda.

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