Se il brand delude, il cliente fugge: l’analisi di Civic Brands

Se il brand delude, il cliente fugge: l’analisi di Civic Brands
25 Marzo 10:06 2021 Stampa questo articolo

Le aziende appaiono sempre di più come attori sociali e non solo economici. Così le marche possono assumere un ruolo politico di guida. Lo sottolinea l’Osservatorio Civic Brands, presentando il nuovo progetto sull’impatto sociale dei brand in Italia realizzato da Ipsos in collaborazione con Paolo Iabichino.

Nella survey – 30 domande che hanno coinvolto 1.000 persone dai 18 ai 65 anni – è stato analizzato il cosiddetto “say-do gap”, ovvero la differenza tra dichiarato da parte delle persone ed effettivo comportamento agito.

Civic Brands 2«Siamo di fronte a un nuovo consumatore, molto più attento nel giudicare il lavoro di un’azienda, tanto che il 43% dichiara di aver smesso di comprare alcuni prodotti o servizi, di marche o aziende, perché deluso dal loro comportamento – afferma Andrea Fagnoni, chief client officer di Ipsos – Il 39% ritiene che sia compito delle marche incentivare i comportamenti responsabili, contro il 26% che crede sia onere dei governi».

Fagnoni spiega che si tratta di «sfide che coinvolgono le aziende ma sono anche opportunità per aprirsi a un dialogo più vero con i consumatori, anche perché il 17% ritiene che le istituzioni e la politica non siano più in grado di agire e coinvolgere le persone per il miglioramento della società, ruolo coperto per il 24% da marche e aziende il cui agire può davvero migliorare la società con le loro azioni».

Si sta delineando, quindi, un nuovo ruolo del business. Secondo il 63% degli intervistati, oltre a vendere prodotti o servizi, i marchi e le aziende devono agire in prima persona rispetto a questioni sociali rilevanti; per il 67% è arrivato il momento che le imprese cambino modo di vivere e operare per la società. La fiducia è un punto cruciale, resta uno scetticismo di fondo (per il 67% è difficile capire se un’azienda è veramente responsabile).

Sul definire una marca effettivamente civica, l’83% ritiene che il “civismo” dei brand non possa prescindere dalla qualità della vita dei propri dipendenti; per l’82% un civic brand deve portare un contributo di prossimità, con azioni concrete sul territorio e per il 68% dovrebbe prendere una posizione chiara e concreta in ambiti come diritti civili, razzismo e parità di genere.

«Non c’è più tempo per tergiversare, le tematiche non possono più essere delegate ai racconti e alle narrative – dice Paolo Iabichino, direttore creativo e cofounder dell’Osservatorio Civic Brands – Il 31% degli intervistati ritiene che una marca o azienda che non agisce concretamente in tema di sostenibilità ambientale non possa avere futuro. Comunicazione e azione devono andare a braccetto, la creatività si misura con l’impegno, le azioni e l’impatto delle parole. Serve una scrittura in grado di ribaltare archetipi e paradigmi e di mettere le parole al servizio dell’impatto sociale e culturale. Il 40% degli intervistati aderirebbe volentieri a un’iniziativa in ambito sociale, culturale, ambientale volta a migliorare la propria comunità, o realtà in cui vivono, promossa da una marca o da un’azienda e il 36% ammette che, se fosse coinvolta, sarebbe più propensa a scegliere e acquistare i prodotti. Creativi e brand possono operare per il cambiamento. È il momento della co-creazione».

L’84% ritiene, infine, che le marche e le aziende debbano ascoltare e farsi aiutare dai consumatori per agire in modo responsabile per il bene delle comunità e dei territori; il 78% le vuole parte attiva, aiutando e appoggiando le persone nelle azioni e iniziative per migliorare la società.

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