“Ristoranti in albergo”, come l’ospitalità si adatta alla new normality

“Ristoranti in albergo”, come l’ospitalità si adatta alla new normality
20 Ottobre 10:11 2020 Stampa questo articolo

L’albergo si apre ai clienti esterni e il ristorante diventa biglietto da visita per l’intera struttura ricettiva che non si limita più a vendere solo lenzuola e cuscini. È il tema affrontano recentemente dagli esperti del team Tdf – Turismo Destinazione Futuro alla Fiera di Rimini.

Gli esempi, anche eclatanti, di trasformazione del “ristorante d’albergo” in “ristorante in albergo” sono diversi e gli hotel si stanno affermando sempre più come luoghi del “mangiar bene”.

«La qualità dell’offerta gastronomica è diventata un elemento di forte attrattiva anche per la clientela locale – ha sottolineato Giulio Biasion, coordinatore di Tdf e direttore del periodico L’Albergo –  e si tratta di una rivoluzione silenziosa, economica e culturale, che deve rivalutare anche il lavoro della sala, elevando e attualizzando i ruoli di maitre e camerieri, trascurati ambasciatori di stile e gusto. Formazione, addestramento e coaching sono gli strumenti per avviare questa rivoluzione pacifica e creare i nuovi ambasciatori del servizio e dello stile ristorativo e gastronomico italiano».

Nel corso dell’evento è stato evidenziato che la ristorazione in albergo è un concept certamente non nuovo, ma di certo può diventare un prodotto consolidato anche nei conti economici dell’albergo. E come ogni nuovo prodotto, la logica deve essere quella della analisi, della ideazione, della valutazione dell’investimento, la definizione della supply chain, la scelta delle risorse umane e tanto marketing diretto e digitale in particolare sfruttando il potenziale dei social media che sono una enorme cassa di risonanza e di visibilità.

Il ristorante non è più, dunque,  la “tomba del profitto” di un albergo: adesso si apre ai clienti esterni e diventa plus nell’ospitalità del territorio. Stefano Bonini, senior partner di Trademark Italia, ha ribadito che «ci sono tanti  esempi di hotel che hanno trasformato il “ristorante d’albergo” in “ristorante in albergo” e per farlo hanno abbandonato la table d’hôtel altrimenti nota come “cucina di linea” o “mezza pensione – pensione completa” e le sue rigide regole, sinonimo di cucina omologata, priva di tipicità e freschezza, con le cotture anticipate. E hanno iniziato a percorrere la strada del menu alla carta».

Una “rivoluzione” silenziosa, economica e culturale, che sta aiutando gli alberghi ad aprirsi sempre più alla comunità locale, che si ritrova in hotel con la consapevolezza che ormai la ristorazione in questo luogo non è più “da collegio” ma rappresenta un impegno serio, una sfida stimolante, vincente soprattutto in termini di promozione e comunicazione.

Nel corso dell’evento è stato poi toccato il tema della personalità che deve avere un ristorante in albergo. Secondo l’architetto Massimo Mussapi, specializzato nell’hotellerie: «Il primo passo riguarda il personale, che deve essere formato secondo la formula di esercizio; c’è poi il design, dalla logistica alla cucina,  alla sala. Non basta l’ingresso separato, ci vuole una valida motivazione per entrare. Ma da handicap può divenire valore aggiunto: l’hotel può dare qualcosa di più e di diverso ovvero l’accoglienza, spazi più grandi e scenografici, funzioni e amenities diversificate e condivisibili nelle aree adiacenti».

Un progetto quindi deve coinvolgere non solo l’area ristorante ma le aree comuni adiacenti. «Il design dovrà essere sì molto attrattivo, ma coerente con l’offerta ristorativa e il servizio altrimenti c’è distonia, qualcosa suona fastidiosamente falso. Una ipotesi può essere quella di portare la cucina in sala teatralizzando il servizio, che comporta innovazione nel layout e nelle attrezzature. Altro punto è la caratterizzazione e la narrazione: ispirata al territorio, o a un prodotto del territorio, ma senza dipendenza, garantendo flessibilità di fruizione», conclude Mussapi.

L'Autore