Oligopolio delle Olta? La contromossa Accor

by Gabriele Simmini | 22 Marzo 2017 15:08

«Integrare l’offerta, così AccorHotels ha scelto una camicia su misura per il mercato», afferma Renzo Iorio, direttore generale per l’Italia. Ma è tutto il settore dell’ospitalità che ha bisogno di cambiare, per contenere l’exploit di Airbnb e l’oligopolio delle Olta. La ricetta parte dal modello di casa: l’apertura del marketplace di Accor agli alberghi indipendenti, che è stata la novità dirompente del settore. E i risultati 2016 ne giustificano le mosse, visto che in Italia il fatturato del gruppo è al +4,1%.

Come gestire il cambiamento?
«La piattaforma di prenotazione ha integrato circa 500 hotel in un solo anno, raggiungendo già l’obiettivo previsto per il triennale. Ora opereremo più sulla selezione che sulla crescita dimensionale».

È un vantaggio operare in un settore frammentato?
«In Italia la dimensione delle società resta debole. Frammentazione e  autonomia che rendono gli albergatori vulnerabili rispetto alla distribuzione online. Così Expedia o Booking.com creano un oligopolio. Negli Usa, invece, il mercato passa per il 25-30% dalle Olta, grazie anche al peso delle grandi catene. In Europa la percentuale si ribalta».

Troppa parity rate e poca innovazione per gli hotel?
«La lentezza con la quale il governo continua a trattare il tema parity è grave, ma il settore sta facendo grandi passi in avanti. Come per  trasporti e agenzie di viaggi, siamo in un’era in cui bisogna seguire le evoluzioni del digital e dei trend di consumo, rischiando un poco. Ma è giusto chiedere un’azione incisiva ai governi sul contrasto di norme che limitano l’accesso al libero mercato».

Ci sono differenze tra il vostro marketplace e una Olta?
«Sulla nostra piattaforma selezioniamo le strutture e rilasciamo i dati dei clienti agli alberghi indipendenti. È un’ecosistema aperto e trasparente. Ma se le imprese si ostinano a non volersi aggregare in qualsivoglia forma, non ci sono norme che tengano».

Su alcuni target, Accor vuole copiare il modello Airbnb?
«Non proprio. Con le acquisizioni di onefinestay e Travel Keys o con la gamma Oasis abbiamo deciso di integrare l’offerta piuttosto di verticalizzare la distribuzione. Non saremo mai interlocutori immobiliari. AccorHotels è lì dove c’è l’ospitalità di qualità, e abbiamo marchi che attraversano e coprono tutti i target. Anche perché le città hanno bisogno di modelli diversi e più sostenibili. Berlino, New York, Barcellona stanno ragionando apertamente sull’uso del patrimonio abitativo di una città e sull’equa distribuzione tra abitanti e turisti nei centro città».

In Italia il dibattito è quasi assente…
«Su Venezia, per esempio, il punto di rottura è ampiamente superato. Proprio gli hotel diventano strategici in questo contesto. Una città ha bisogno di cultura vitale, impresa e di cittadini. Ci vogliono regole stringenti e norme chiare sia per gli alberghi sia per gli alloggi in stile Airbnb. Anche il tema fiscale va affrontato, con la cedolare secca sulle transazioni online che andrebbe approvato rapidamente».

AccorHotels venderà voli?
«Non vogliamo fare il tour operator né l’agenzia, ma vogliamo dare qualcosa di più al viaggiatore, che rimane il nostro core business. Cerchiamo, quindi, di accompagnarlo con i servizi ancillari. Non prima del prossimo quadrimestre partiranno i test per un servizio beta di acquisto voli, vedremo poi se proseguire con il progetto».

Novità per la costellazione Accor in Italia?
«Abbiamo una bella collezione di 79 alberghi in 37 destinazioni. Il prossimo anno entreranno altri 6 alberghi e stiamo rinnovando interamente il Novotel di Milano Linate e il Sofitel di Roma. Nella Capitale, poi, vedo ampi margini di sviluppo per il settore lusso»

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