La voglia di rebranding contagia tutti (o quasi)

03 Aprile 17:00 2017 Stampa questo articolo

L’ultima notizia arriva dalla società britannica Brand Finance che ogni anno redige la ricerca Nation Brands. Con oltre 1.500 miliardi di dollari stimati per il fatturato 2016 l’Italia sale al nono posto della classifica delle 100 nazioni con il marchio più apprezzato a livello planetario. Un buon risultato che conferma lo Stivale nella top ten mondiale, anche se lontana anni luce da Paesi come gli Stati Uniti e la Cina.

E se per una destinazione (Paese, regione o città che sia) avere un brand riconosciuto è garanzia di successo a patto però di saperlo comunicare, la stessa cosa non sempre si può dire per il tour operating. Dove il rebranding non è una pratica così diffusa, né tantomeno è una garanzia di successo.

«Ogni tanto ne parliamo anche noi, ma poi decidiamo che non è una cosa indispensabile», racconta Massimo Diana, direttore commerciale di Ota Viaggi, operatore romano con una trentina di anni di attività alle spalle che in tutto questo periodo non ha mai cambiato né il logo né la sua immagine aziendale, sempre all’insegna dell’understatement. «Anche il sito internet è stato rivisto solo un paio di volte, e rimane una piattaforma puramente consultiva. Ma tutto è in linea con la nostra volontà di avere sempre un contatto diretto con le agenzie, che rimangono il nostro unico interlocutore. Con le circa 2mila adv con cui lavoriamo si è creato nel corso del tempo un rapporto di fiducia basato sul prodotto e sulla sua reale disponibilità».

A pensarla in modo non troppo diverso è anche un marchio storico della villagistica nostrana, che proprio di recente ha deciso di tornare alle origini investendo nuovamente sul prodotto t.o. «L’attività di tour operating è nel nostro dna fin dal 1931, siamo stati i primi a far viaggiare tante generazioni di italiani», ricorda Corinne Clementi, amministratore de I Grandi Viaggi, che ricorda come proprio la data di fondazione comparisse nel logo fino a qualche anno fa.

«Poi l’abbiamo tolta, all’epoca non era più di moda averla, mentre adesso forse sarebbe il caso di rimetterla». Ma anno o non anno, quel che è certa è la forza di un marchio come quello dell’operatore milanese, capace di affermarsi con la sua brand identity in un mercato affollato come quello italiano. «Trent’anni fa volevamo diventare l’equivalente italiano del Club Med degli anno d’oro, e oggi posso dire che ci siamo perfettamente riusciti», ama dire la manager, richiamandosi a un altro marchio iconico dell’industria turistica internazionale.

Che il potere evocativo di un brand possa resistere all’usura del tempo, lo dimostra anche il tentativo che, ancora una volta, sembra sia stato messo in campo per resuscitare un nome che ha caratterizzato le vacanze degli italiani per oltre 20 anni, come quello de I Viaggi del Ventaglio.

Chi invece di rebranding non ne ha bisogno è il Gruppo Alpitour, finito lo scorso anno al primo posto tra i t.o. di casa nostra in una classifica stilata da una società tedesca che aveva interpellato 120mila clienti in Italia. «Abbiamo il brand migliore in Italia», ha recentemente dichiarato il presidente e ad del gruppo Gabriele Burgio, a proposito dell’entrata nel capitale del tour operator di Tip, Tamburi Investment Partners, con la cifra per 120 milioni di euro.

Dall’indagine condotta dall’Istituto tedesco “Qualità e finanza”, poi, emergeva come l’azienda torinese non fosse la sola del comparto turistico a essere riconosciuta in modo positivo dai consumatori tricolori. Se il primo posto della ricerca, infatti, era appannaggio di Amazon, al secondo svettava Booking.com, mentre la terza e quarta posizione erano presidiate da due parchi di divertimenti: Gardaland e Mirabilandia, che nel 2015 occupavano soltanto la tredicesima piazza.

Tutto prevedibile – spiegavano i curatori della ricerca – se si pensa che «la standardizzazione e la semplicità delle procedure di acquisto di un prodotto piuttosto che di una vacanza online giocano di solito un ruolo fondamentale nel giudizio dei consumatori sul servizio offerto».

Punta invece sul connubio tra tradizione e modernità, il recente rebranding messo in campo da una storica azienda di viaggi organizzati come Turisanda, ora parte di Eden Travel Group insieme a Hotelplan.

«Turisanda è il marchio più longevo del turismo italiano; in questi anni ha collezionato una lunga tradizione di prodotti, destinazioni e tanti clienti accomunati dalla voglia di viaggiare all’insegna della qualità e dell’attenzione al servizio», ha detto qualche tempo fa il ceo Luca Battifora, commentando l’operazione di restyling voluta dalla nuova proprietà.

Risultato: per la nuova era, Turisanda ha dato il via non solo al restyling dell’immagine coordinata, del marchio e del layout del catalogo, ma anche a una nuova programmazione che passa dal recupero del target originario di «viaggiatori alla ricerca di esperienze dal respiro internazionale».

E Valtur, altro recente protagonista di una rivisitazione completa del suo look? «Massimo rispetto per la storia della marca, ma anche massimo rispetto per la sua vocazione alla contemporaneità», ha detto Luca Maoloni, creative partner di Yes I Am, l’agenzia che ha curato l’intera operazione (che comprende anche un nuovo payoff e il restyling dell’immagine coordinata).

Forte di un logo ideato originariamente da Hazy Osterwalder per lo Studio Boggeri addirittura nel 1969, il primo passo dell’azienda è stato quindi quello di pensarne uno nuovo di zecca, sempre espressione di italian style e vacanze in famiglia, ma all’insegna della semplificazione e attualizzazione grafica.

L'Autore

Giorgio Maggi
Giorgio Maggi

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