La rinascita di Sarajevo, capitale culturale dei Balcani

05 Novembre 07:00 2019 Stampa questo articolo

Tre giorni intensissimi alla scoperta di Sarajevo, Mostar, Medjugorie e le cascate di Kravice, in Bosnia ed Erzegovina. Dall’alto, subito prima dell’atterraggio, si resta incantati dai colori della natura di una splendida giornata di ottobre: un tripudio di alberi dalle foglie rosse, gialle e arancioni che spuntano tra il verde delle colline che circondano Sarajevo.

Mentre nel tragitto tra l’aeroporto e l’albergo, percorrendo il vialone che negli anni della guerra era stato ribattezzato “il viale dei cecchini”, oltre ai segni ancora visibili del conflitto, come gli edifici bombardati e i muri dei palazzi crivellati dai proiettili, si notano soprattutto i tram. Coloratissimi, attraversano la città utilizzando una delle più antiche reti tranviarie europee, che tra l’altro servì da test per quella di Vienna (e oggi il numero 3 tocca i punti più turistici di Sarajevo).

Per secoli nota come la “Gerusalemme d’Europa”, dove musulmani, ebrei e cristiani convivevano in pace, Sarajevo è ancora oggi la città dove i Balcani e l’Europa, est e ovest si incontrano, riuscendo a mantenere la sua essenza multiculturale anche dopo gli eventi tragici degli anni Novanta. Come testimoniato dalla Bascarsija (in turco “mercato principale”), il cuore ottomano di Sarajevo: percorrendo le sue stradine acciottolate, tra negozietti, ristoranti, caffè e caravanserragli, nel giro di 500 metri si incontrano una moschea (quella di Gazi Husrev-beg, nota come Begova, la più importante della città), una sinagoga (ora un museo ebraico), una cattedrale ortodossa e una cattedrale cattolica. E come celebrato da una lastra con la scritta “Sarajevo Meeting of Cultures”, incastonata nella pavimentazione della via pedonale principale, nel punto dove l’architettura ottomana incontra quella asburgica.

Un emblema della rinascita della capitale bosniaca è senza dubbio la Vijecnica. L’edificio, che si fa notare per la mole e i colori, è oggi il municipio della città, ma prima di essere ridotta letteralmente in cenere dalle bombe incendiarie, nell’agosto 1992, era la biblioteca nazionale, con un patrimonio ricchissimo di libri, manoscritti e documenti preziosi. La sua ricostruzione è durata 18 anni, ed è terminata nel 2014.

La città del resto è un concentrato di storia. Una storia complessa che si riflette anche nella sua architettura, tra minareti, guglie, cupole a cipolla, palazzi eleganti che risalgono al periodo asburgico, casermoni in cemento armato della Jugoslavia di Tito e grattacieli modernissimi, cui fanno da contrasto le casette colorate sulle colline circostanti. E non si può non ricordare che proprio qui, in seguito all’attentato del 28 giugno 1914 all’erede al trono dell’impero austro-ungarico, l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, e a sua moglie Sofia, è cambiato il corso del ‘900 (sul luogo dell’attentato c’è anche una perfetta riproduzione dell’auto su cui viaggiavano gli Asburgo).

Tra i musei e i monumenti che ricordano l’assedio di Sarajevo (che si concluse nel 1995 con gli accordi di Dayton), da non perdere il “Tunnel della Salvezza”, un passaggio segreto che ha contribuito alla sopravvivenza della popolazione assediata; mentre è praticamente impossibile non notare le “Rose di Sarajevo”, sparse un po’ in tutta la città: i buchi e le crepe lasciati sull’asfalto dalle granate riempiti di resina rossa, come petali di un fiore.

In seguito alla divisione del Paese deriva tra l’altro che, a nord-est della stessa Sarajevo, c’è una Sarajevo Est che fa parte della Repubblica Serba (il confine è segnalato solo da un cartello stradale). Per cui per esempio mentre la vetta del monte Trebevic, famoso per le Olimpiadi invernali del 1984, rientra nella giurisdizione della Serbia, la stazione di arrivo della funivia (in funzione dall’aprile 2018 dopo 26 anni di abbandono, e opera di una ditta italiana di Vipiteno) fa parte di Sarajevo. «Siamo un Paese complicato», il commento della nostra guida.

Oggi comunque Sarajevo è soprattutto una moderna capitale europea, con una vivace vita culturale, e che ospita festival famosi e seguiti in tutto il mondo, come quelli sul cinema, sul teatro, sul jazz e sullo street food.

Da Sarajevo si parte verso sud, lungo strade tenute perfettamente, attraversando paesaggi davvero magnifici. Una prima sosta è a Konjic, una graziosa cittadina adagiata tra le montagne dell’Erzegovina con un ponte di pietra che risale al 1682 (ma è stato restaurato nel 2009) e che attraversa il fiume Neretva. Qui si trova tra l’altro il bunker antiatomico di Tito, costruito tra il 1953 e il 1979: una struttura di 6.500 mq, in grado di ospitare 350 persone, oltre a generali dell’esercito e leader politici, che è stata a lungo uno dei segreti meglio mantenuti della Jugoslavia.

Proseguendo si arriva alle spettacolari cascate di Kravice, un fenomeno naturale protetto: immerse in un bosco rigoglioso, la loro altezza varia dai 26 ai 28 metri e formano un anfiteatro ampio oltre 120 metri. Avendo tempo, nello specchio d’acqua sottostante si può anche fare il bagno.

Nelle vicinanze c’è Medjugorie, da anni meta di pellegrinaggi: qui infatti si dice che nel 1981 sia apparsa la Vergine Maria. Infine Mostar, con il suo famoso Stari Most – Ponte Vecchio, capolavoro ottomano che con il suo arco perfetto univa est e ovest. La sua distruzione il 9 novembre 1993 fu un lutto mondiale. Ricostruito identico al ponte originale, con la stessa pietra calcarea locale, grazie al supporto dell’Unesco e a contributi internazionali (il progetto architettonico e strutturale è italiano), il 23 luglio 2004 lo Stari Most è di nuovo al suo posto sulla Neretva. Il ponte e la città vecchia di Mostar sono così diventati un simbolo di riconciliazione e di coesistenza di diverse comunità culturali, etniche e religiose. E anche per questo il fascino dei luoghi è fortissimo.

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Cristina Melis
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