Genova quaranta giorni dopo tra carugi e creuze

24 Settembre 13:24 2018 Stampa questo articolo

È trascorso più di un mese da quello scorso 14 di agosto, quando il silenzio ha squarciato il rumore continuo della pioggia sotto i pneumatici lungo il ponte Morandi. Oggi Genova è ancora in attesa di quel decreto che porta il suo nome e che dovrebbe sostenere l’emergenza. Perché le carte sono ferme sulla scrivania del ministero dell’Economia in attesa di essere trasmesse al Quirinale, perché possano andare il prima possibile in Gazzetta Ufficiale. Nel frattempo, settimana scorsa è stata inaugurata la via della Superba. Costruita in tempi record in poco più di un mese, questa strada serve a dividere il traffico dei mezzi pesanti da quello delle macchine dirette in città.

«La burocrazia sta rallentando la completa ripresa della città. Se a livello regionale la macchina dei soccorsi per cittadini e sfollati si è immediatamente messa in moto, ancora manca su scala nazionale un piano concreto per la ricostruzione del ponte e della messa in sicurezza delle abitazioni adiacenti alla zona del crollo». A parlare è Irene, 37 anni e un accento che non tradisce il luogo dove è nata e dove tutt’ora vive. «La città divisa in due e per chi abita a ponente non è facile raggiungere il centro. Ci sono state molte difficoltà a livello di viabilità anche se il potenziamento delle corse della metropolitana e delle comunicazioni per uscite autostradali alternative hanno probabilmente evitato il peggio». Irene ricorda come Genova sia ancora in attesa dei lavori per la costruzione del nuovo ponte e di altri progetti per snellire il traffico come la gronda e il terzo valico, il cui primo progetto risale al 1885.

Gregorio vive la città con gli occhi di chi a venti anni non vuole sentire parlare di sconforto. «Posso solo essere ottimista. Non è la prima volta che Genova viene messa in ginocchio ma ha sempre rialzato la testa, restando unita e più forte». Gregorio ci spiega che la zona dove sorgeva il ponte Morandi resta fuori dal centro cittadino, «è un’area industriale, dove non c’è alcun interesse architettonico e storico. La mancanza di un collegamento diretto tra le due parti della città ha creato sì disagio ma principalmente per l’industria pesante, con un conseguente calo delle movimentazioni nelle spedizioni marittime».

Non tutti i cittadini di Genova però condividono l’ottimismo di Gregorio e qualcuno invoca anche lo spirito, «quello che ormai non c’è più». Barbara e Moreno gestiscono una piccola gelateria artigianale nella zona centrale della città. La loro preoccupazione guarda già al domani. «Se non ci sarà un nuovo ponte, con l’arrivo della bella stagione le vendite sono desinate a diminuire. Già le due settimane dopo il crollo del Morandi abbiamo notato un calo: la gente di Ponente non viene più qui e persino i francesi hanno disdetto le prenotazioni. Le merci faticano ad arrivare e i costi, a catena, aumenteranno per fornitori e clienti finali». Moreno si accende una sigaretta, la fuma veloce. L’altra mano è in tasca, «il silenzio, quello ci ha più colpito».

Raggiungiamo di buon passo i caruggi nella città vecchia e ci perdiamo tra le creuze, le tipiche stradine strette incassate tra i muri. Sollevando il naso, misuro la grandezza del Palazzo Spinola e del Palazzo Ducale. Camminiamo fino alla piazza della grande Cattedrale di San Lorenzo. I turisti si mescolano ai genovesi e li riconosci dal telefonino che stringono tra le mani, pronti a scattare il selfie perfetto, quello da condividere. Sì, i turisti a Genova ci sono. Nonostante tutto.

Maurizio sta guidando il taxi che ci porta in stazione. «Il traffico è congestionato, il pomeriggio poi è sempre un disastro», racconta. Altro non vuole aggiungere. Ci guarda e sorride. Forse è anche per questo che Genova si rialza, ogni mattina.

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Silvia Pigozzo
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