Thomas Cook, la difesa di Fankhauser: «Colpa delle banche»

30 Settembre 13:12 2019 Stampa questo articolo

«Sono profondamente dispiaciuto per quanto accaduto, l’addio a tutto lo staff è stato particolarmente commovente». Durante il weekend, l’ormai ex ceo di Thomas Cook Group, Peter Fankhauser, non ha mancato di dare la sua versione dei fatti sul tracollo che ha colpito il più vecchio operatore del travel a a livello mondiale. «Se alcune banche (sarebbero in tutto 17, tra cui alcune big del calibro di Barclays, Morgan Stanley, Dnb, UniCredit, Credit Suisse, Lloyds e Royal Bank of Scotland) avessero preso decisioni più rapide, senza alimentare un clima di incertezza, sottoscrivendo il piano di salvataggio, tutto si sarebbe risolto», ha detto il manager svizzero al Sunday Times.

Lo stesso Fankhauser ha respinto al mittente le accuse lanciate dalla stampa britannica sugli stipendi d’oro percepiti dai manager dell’operatore. «Quasi la metà (circa 4 milioni di sterline) del mio compenso era in stock option dell’azienda», diventate quindi ora di nessun valore. Secondo alcune stime degli analisti però, le prime linee di Thomas Cook Group avrebbe guadagnato negli ultimi anni qualcosa come 60 milioni di euro tra stipendi e premi per i risultati raggiunti (solo per rimanere agli ultimi tre ceo, il “conto” arriva a 35 milioni di sterline negli ultimi 12 anni), nonostante le prime avvisaglie sul crollo dell’operatore fossero già evidenti da tempo.

Già nel novembre del 2017, riporta ad esempio il Guardian, la situazione era chiara, tanto che lo stesso Fankhauser aveva denunciato nel report di fine anno i rischi dell’elevata competizione portata da low cost e Ota. “Anche se la riduzione dei debiti avrebbe dovuto essere la priorità assoluta, visto anche che Thomas Cook era andato vicino al fallimento già nel 2011”, continua il quotidiano londinese, “nulla era cambiato, e la riduzione del debito non era stata considerata tra le priorità da affrontare”. E questo, prosegue il giornale, nonostante dal 2010 in poi il conto solo per interessi sia lievitato fino a 1,2 miliardi di sterline.

Intanto, mentre sono ancora 55mila i clienti che ancora non stati rimpatriati (secondo l’Autorità Civile dell’Aviazione Britannica, i voli di rientro si concluderanno il 6 ottobre), la questione del comportamento dei manager ha attirato l’attenzione anche del primo ministro Boris Johnson («mi chiedo se sia giusto che i manager paghino loro stessi con somme così enormi quando l’azienda va tanto male», ha detto) che nei giorni ha nominato una commissione d’inchiesta sulla vicenda, presieduta dalla laburista Rachel Reeves.

Sul fronte dei rimborsi infine, le ultime notizie parlano di un’attesa che potrebbe durare fino a due mesi per chi aveva prenotato un pacchetto con Thomas Cook. Trattandosi per la maggior parte di pacchetti, i risarcimenti saranno coperti dallo schema che va sotto il nome di Air Travel Organiser’s Licence (Atol).

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Giorgio Maggi
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