Enit, ritorno dell’incoming:
«Corridoi turistici dall’Europa»

05 Maggio 09:40 2020 Stampa questo articolo

No a una certificazione per gli hotel Covid free sul modello portoghese («personalmente, mi lascia perplesso»). Sì invece a una campagna di comunicazione per promuovere la destinazione, in Italia e all’estero («bisogna agire sulla paura, e dire a chiare lettere che il Covid-19 non ha intaccato minimamente nostro patrimonio»). Ma soprattutto, largo alla firma di trattati bilaterali tra Paesi europei per favorire l’arrivo anche di stranieri. In attesa che l’emergenza sia definitivamente alle spalle, Giorgio Palmucci, presidente dell’Enit, ha le idee chiare su cosa bisognerà fare (non fare) nella fase di ripartenza. A cominciare dai corridoi turistici di cui si è parlato negli ultimi giorni, e su cui la Commissione europea sarà presto chiamata a esprimersi.

A che punto sono le cose in Italia?
«Al Mibact se ne sta discutendo, sulla scorta di quanto stanno già facendo altri Paesi europei (Repubblica Ceca e Croazia per garantire l’accesso alle coste adriatiche, ndr) L’idea è di attrarre in primo luogo i mercati germanofoni, ma ci sono anche tante regioni in Italia dove il virus è arrivato in modo contenuto, e in cui sarebbe sensato fare arrivare turisti provenienti da Paesi europei, penso a quelli nordici, dove la situazione sanitaria non è stata drammatica».

Quali iniziative sta mettendo in campo l’Enit per la Fase 2?
«Oltre alla decisione di pubblicare il nostro Bollettino quindicinale ufficiale (è uscito il numero zero, sui canali dell’Agenzia e attraverso la newsletter dedicata), destinato a operatori e associazioni, con i dati su pernottamenti, spesa e prospettive del turismo 2020 (gli indicatori provengono da social, aeroporti, “antenne” delle nostre sedi all’estero), sono allo studio due campagne, una Italia su Italia, l’altra in collaborazione con le Regioni, rivolta ai principali mercati europei. Vogliamo dire a chiare lettere che il nostro Paese è una destinazione sicura dal punto di vista sanitario».

Come sarà la prossima estate?
«Di certo si partirà solo dall’Unione europea, e in effetti nella migliore delle ipotesi i mesi saranno solo luglio e agosto. Il problema è che, al contrario di altri settori, il turismo ha bisogno delle prenotazioni, quindi i tempi per gli operatori sono veramente stretti. Per questo, vedo molto la tendenza al turismo delle secondo case, dei residence, piuttosto che dei grandi alberghi».

Come la mettiamo con i protocolli sanitari che le strutture dovranno rispettare?
«Le disposizioni dell’Oms sono già in essere, ma dovrà poi essere il governo a dire l’ultima parola. Eventuali problemi nasceranno soprattutto nelle aree comuni, e nei momenti di condivisione, piuttosto che all’interno delle camere. Per questo occorrerà attrezzarsi con la tecnologia, penso ad esempio a check in e check out fatti online. Tutto da chiarire è poi il tema della responsabilità legale dei gestori e proprietari di strutture, qualora si verificassero nuovi casi di contagio durante la vacanza».

In che modo si stanno muovendo i competitor della destinazione Italia?
«Vedo ovunque una grande preoccupazione di non riuscire a fare partire la stagione. Tanto più che ci sono mete con molto più bisogno di noi di promuovere le loro destinazioni, come Grecia e Nordafrica, dal momento che non dispongono di mercati interni su cui contare. Di certo, però, mi lascia perplesso il sistema dei bollini deciso dal Portogallo, rischia di andare incontro alla stessa aleatorietà del sistema delle certificazioni alberghiere».

Si può trarre almeno una lezione da queste settimane di lockdown?
«Vorrei che tutto questo servisse almeno per rinnovare l’offerta e per diminuire la burocrazie. Sicuramente, serviranno investimenti, perché le aziende avranno l’onere di adeguarsi ai nuovi protocolli, ma potrà essere un’occasione per migliorare il prodotto Italia».

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Giorgio Maggi
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