Domestico e digital: così il turismo italiano cambia pelle

by Redazione | 3 Marzo 2021 14:54

Per il turismo italiano il 2021 potrebbe essere realmente l’anno zero: la tempesta perfetta del Covid ha imposto a operatori del settore e amministrazioni centrali e locali di rimodulare e possibilmente rivoluzionare l’offerta, con “Proposte Blend”, ovvero pacchetti per luoghi di prossimità e veicolazione digitale.

È il quadro tracciato dal dossier di Agi e Censis Reinventare il turismo dopo la tempesta perfetta“, secondo cui la pandemia da coronavirus si è abbattuta sul turismo in modo inaspettato, con una forza inusitata e pervasiva, e ha colpito un Paese che “da un lato ha nel turismo una delle sue principali punte di freccia, dall’altro, cronicamente fatica ad inquadrare il bersaglio e a massimizzare le enormi potenzialità di cui dispone”.

Per 20 anni – si spiega nello studio – il turismo ha conosciuto una straordinaria espansione: nel 2019 circa 1,5 miliardi di persone hanno viaggiato consentendo al turismo di rappresentare il 10% sia del Pil che dell’occupazione mondiale. L’Italia, meta matura, è però passata dal 7% di tutta la spesa turistica mondiale dei primi anni Novanta al 3,4% circa nella seconda decade del 2000. L’impatto diretto del settore turistico nell’economia italiana si attestava intorno al 6% del Pil e al 7% dell’occupazione (con più di 1,5 milioni di posti di lavoro). L’impatto complessivo del turismo (considerando effetti indiretti e indotti) risultava pari al 13% del Pil, un valore superiore alla media dei Paesi Ue, con circa 3,4 milioni di posti di lavoro, pari al 15% del totale.

Ma nell’ultimo decennio – si evidenzia nel dossier – la crescita è stata disomogenea e il settore ha cambiato pelle: le vacanze sono diventate brevi e i turisti sempre meno italiani, al punto che nel 2017 è avvenuto il cambio di passo con una forte accelerazione di sistemazioni extra-alberghiere rispetto a quelle alberghiere ed un accentuazione dell’overtourism nelle grandi città attrattori. Ma sembra ormai passato remoto: il Covid impone ora altre declinazioni, ripartendo praticamente da zero, o meglio da quel turismo domestico che va “educato attraverso un’offerta che faccia emergere anche le eccellenze dei territori decentrati e l’Italia si trova ad avere l’occasione più unica che rara di rimodulare i flussi turistici, partendo da quelli nazionali per poi orientare anche i bacini di traffico estero, quando ripartiranno”.

Contestualmente, poi, ci sono criticità da risolvere con estrema tempestività e organicità: a partire dall’impatto Covid sulla dimensione occupazionale, che è poi la componente che preoccupa di più gli operatori. Gli addetti del settore turistico inteso in senso ampio sono 1.647.000 (il 7,1% del totale). Si tratta di lavoratori prevalentemente impiegati con contratti a termine o stagionali in percentuali superiori alla media, dunque meno protetti dal blocco dei licenziamenti. Nel comparto alloggio e ristorazione si stima una perdita del 12,2% delle ore lavorate nel primo trimestre 2020, del 77,8% nel secondo trimestre e del 30,3% nel terzo.

Gli obiettivi verso i quali il sistema turistico nazionale deve tendere in un orizzonte temporale di medio periodo sono perciò: il riequilibrio dell’offerta complessiva (i flussi sono troppo polarizzati su poche città d’arte e concentrati in pochi mesi dell’anno); rendere più accessibili i luoghi di pregio ancora in parte misconosciuti; ripensare le strutture alberghiere (responsabilità ecologica, efficientamento energetico, servizi innovativi, sicurezza sanitaria); e avviare un rapporto maturo con le tecnologie digitali.

La soluzione, quindi, sarebbe quella di progettare forme di offerta Blend, basate su una componente di prossimità contingentata e sulla diffusione ad ampio raggio di contenuti digitali. Perché nel breve periodo i flussi turistici internazionali non potranno recuperare il ruolo di traino avuto negli ultimi dieci anni.

La ripresa del settore si legherà al turismo domestico, quindi di più corto raggio. Non sarà un ripiego: questi flussi saranno alimentati da tutti quei connazionali (circa 17 milioni) che nel 2019 sono andati all’estero e che in gran parte ora rivolgeranno la loro attenzione alle località italiane.

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