Destinazione Italia: cosa manca per vincere la partita dell’incoming?

12 Marzo 13:07 2019 Stampa questo articolo

Qual è il valore reale del turismo in Italia? Lo aveva spiegato in Bit la direttrice marketing dell’Enit, Maria Elena Rossi, oggi volata in Russia per il Mitt di Mosca. «In due anni è il comparto cresciuto di più nella bilancia commerciale, con il +10,2% rispetto al 2017 e introiti valutari pari a 15,2 miliardi di euro. Nessun’altro settore produttivo italiano ha fatto meglio. Una crescita confermata dai risultati dei primi dieci mesi del 2018 con il +2% di prenotazioni. E come traffico extra-europeo l’Italia supera Francia e Spagna».

Fin qui le buone notizie, ma occorre essere realistici e quel che ancora manca alla destinazione Italia è la capacità di valorizzare le proprie eccellenze turistico-ricettive. Per Alfonso Pecoraro Scanio, docente a Tor Vergata di sviluppo turistico sostenibile del territorio, «il primo passo da compiere è quello di dotare le figure professionali laureate in Scienze del turismo di un Codice identificativo. Poi dobbiamo intervenire sulle vere leve strategiche del Paese, in primis sostenibilità e qualità ambientale. Un esempio è la qualità del nostro mare: punto di forza dell’offerta turistica in alcune aree, vistosa debolezza in altre. Bisogna avere il coraggio di agire perché in molti tratti costieri è necessario intervenire urgentemente».

Un’esigenza legata anche al fatto che siamo destinazione di riferimento del Mediterraneo e che alcuni bacini di riferimento del nostro incoming, come Germania, Francia e Gran Bretagna, hanno una fortissima sensibilità su questo tema. La qualità dell’ambiente diventa una discriminante nella scelta finale per le vacanze.

C’è poi il tema del destination management su cui lo specialista Paolo Borroi non usa mezzi termini: «L’Italia paga lo scotto di una pianificazione troppo breve rispetto ai competitor. Il nostro attuale Piano strategico, valido fino al 2022, avrebbe dovuto essere stilato con una durata di almeno 10 anni, come è stato fatto in Cina o negli Emirati Arabi. Inoltre dobbiamo cambiare mentalità e approccio alla gestione del nostro turismo, partendo dalle Regioni che ancora oggi presentano portali con scarso appeal e un evidente deficit di comunicazione e interazione. Un Paese leader turistico come l’Italia non può avere siti tradotti in sole due lingue, poco responsive e nemmeno mobile friendly. Se poi ci affidiamo a piattaforme di promo-commercializzazione esterne, quasi il 20% del Pil di una Olta migra all’estero. Ecco perché bisogna creare un sistema-Italia, che faccia dialogare al suo interno i vari soggetti dei servizi e prodotti».

Sul fronte economico, è stato contestato il solito ritornello sui budget risicati: ebbene i soldi ci sono, ma l’Italia sfrutta solo lo 0,2% dei fondi Ue a disposizione. Il nostro autentico dramma è nella burocrazia che blocca ogni buona intenzione e nell’incapacità di “fare” che penalizza la creatività.

In questo contesto l’offerta aerea gioca un ruolo chiave. Lo testimonia Flavio Ghinghirelli, country manager di Emirates: «Crediamo molto nell’Italia, tra i nostri principali bacini di traffico, e lo dimostrano i 9 voli giornalieri che operiamo nella stagione di picco. Ma bisogna tenere conto del bilanciamento: attualmente su alcuni scali italiani c’è una componente italiana verso Dubai molto più forte rispetto ai passeggeri che entrano in Italia. Un dislivello generato dal fatto che probabilmente non è stato creato un adeguato appeal intorno all’offerta turistica italiana».

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Andrea Lovelock
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