Così il turismo conquista il popolo dei super foodies

by Mariangela Traficante | 30 Gennaio 2020 14:21

Il 53% di viaggiatori nel mondo si dichiara turista enogastronomico, dall’81% dei cinesi, target in forte crescita, al 42% dei britannici. E i millenial guidano il trend, anche se i super foodies del futuro che gli operatori dovranno tenere d’occhio saranno quelli della Generazione Z: i nati dopo il 1996.

«Il 70% ha affermato di viaggiare per godersi esperienze enogastronomiche memorabili, e il 50% sono viaggiatori frequenti». Lo spiega Roberta Garibaldi, analizzando i risultati dell’edizione 2020 del Rapporto sul turismo enogastronomico italiano, realizzato sotto l’egida della World Food Travel Association e dell’Associazione italiana turismo enogastronomico.

Ma se l’Italia emerge ai vertici di sette degli indicatori considerati nel confronto con i maggiori competitor europei (produzioni di eccellenza, aziende vitivinicole e olearie, imprese di ristorazione, musei del gusto, birrifici e città creative Unesco legate all’enogastronomia), i “vicini di casa” riescono spesso a fare meglio sul fronte dell’organizzazione del prodotto.

Quali sono le azioni che gli operatori devono assolutamente intraprendere? Le sintetizza proprio Garibaldi. «Analisi dei dati, informazioni a turisti e operatori, incentivi alla digitalizzazione e per l’assunzione di hospitality manager nelle aziende food and wine ma anche per l’allestimento di spazi turistici al loro interno, bandi per il rilancio dei mercati».

Mentre siamo forti sulle cooking class, prodotti come i food tour sono ancora un po’ indietro rispetto ai competitor, mentre le visite ai produttori vanno un po’ svecchiate e allargate a esperienze come distillerie e fabbriche di cioccolato, sempre più richieste.

MARKETING, DESIGN E GAME. È un turismo che cambia, e non è (più) solo gourmet. È vero che il 48% si è recato in un ristorante di questo tipo negli ultimi due anni e la percentuale sale al 68% tra i turisti enogastronomici, ma il profilo vincente oggi è quello eclettico: cresce la richiesta di esperienze come food truck, bar e dimore storiche sede di aziende, corsi di cucina. «I grandi chef possono servire come testimonial ma non sono un fattore determinante», aggiunge Garibaldi.

In generale l’offerta italiana ha ancora da lavorare su diversi fronti: «Serve un approccio più marketing oriented, partire dall’analisi dei dati per conoscere i clienti: poche cantine in Italia tengono traccia dei visitatori per lavorare sulla fidelizzazione. E per competere con i concorrenti – con ottime case history che arrivano dalla Napa Valley o dal Cile – serve innovazione della proposta: design, gamification, attività per coinvolgere i clienti, personal wine trainer, destination manager.

LE LAMENTELE DALL’ESTERO. Un altro trend in crescita sono gli hotel tematici, con un occhio all’evoluzione social, compreso Tik Tok, «l’app più scaricata ora ma che ha preso ancora poco piede in questo ambito».
Fondamentale poi, investire nella comunicazione su cui l’Italia mostra ancora carenze: «Dall’indagine che abbiamo condotto l’87% dei t.o. stranieri esprime giudizio positivo sull’offerta italiana, ma lamenta limiti sul fronte di informazioni e accessibilità. La Francia per esempio ha un sito specifico come anche la Spagna, e la Germania dedica al segmento una sezione del portale», aggiunge Garibaldi.

L’INVITO ALLE AGENZIE. Come risponde l’Enit, che ha patrocinato il rapporto, a questo trend in crescita ma con alcune lacune? «Ci siamo posti proprio l’obiettivo di lavorare insieme a settori come design e food per promuovere la destinazione unendo le forze con le aziende produttrici del made in Italy – spiega il presidente Giorgio Palmucci – Vogliamo una crescita destagionalizzata e che non sia concentrata nelle destinazioni classiche, l’enogastronomia permette di esplorare mete meno conosciute».

E gli operatori del trade italiano? Il rapporto non li ha presi direttamente in considerazione, ma Garibaldi li invita a farne tesoro: «È un tema che può essere valorizzato da parte delle agenzie di viaggi, specie quelle incoming, che hanno questa opportunità in più di vendita e fatturato».

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